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Alice nel paese delle meraviglie

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Nel Paese delle Meraviglie, le leggi della fisica e del buon senso sono annullate. Alice, una giovane britannica, esplora un mondo in cui può consumare sostanze strane e reinterpretare poesie in modo anarchico. Qui, non è il cuore, ma il caos a guidare le avventure.

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Due parole sull'autore

Descrizione

Nel Paese delle Meraviglie non valgono le leggi della fisica: si cade per chilometri (forse, ma non si è sicuri) senza farsi niente. Non valgono le leggi del buon senso e dell'educazione: una fanciulla britannica di buona famiglia può permettersi di tracannare intrugli quantomeno sospetti, o di sbocconcellare funghi magici seguendo i consigli di un bruco drogato. Può infrangere tutte le noiose poesie edificanti propinatele da pseudopoeti bacchettoni, stravolgendole in strofe di una crudeltà e di una anarchia inaudite. Nel Paese delle Meraviglie non ci sono regole predefinite: è una bambina disambientata a creare il mondo è le entità che lo popolano, Alice non va dove la porta il cuore: va dove la porta il caos.

Lewis Carroll
Alice nel paese delle meraviglie
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Dalle prime pagine del libro:

Fin dalla prima metà del nostro secolo, attorno alla figura di Charles Lutwidge Dodgson alias Lewis Carroll si è sviluppata un'accesa discussione che ha diviso appassionati e studiosi. Da un lato, lo si è dipinto come un angelo custode dei bambini (dimenticando che, se pure fu custode, lo fu solo di bambine); dall'altro come bieco Michael Jackson ottocentesco, insanamente appassionato al godimento voyeuristico di fanciullesche nudità impuberi (dimenticando parimenti che tutta l'Inghilterra estetizzante del tempo in qualche modo lo era).

La discussione, com'è naturale, si è poi spostata sul terreno delle interpretazioni di Alice nel Paese delle Meraviglie. La storia è stata definita un contenitore delle fantasie perverse dell'autore, o uno strumento per sedurre, a livello subliminale, la piccola Alice Pleasance Liddell. Oppure ci si è opposti a tale interpretazione riconoscendovi riferimenti a personaggi reali, definendola un'innocente ghiribizzo della fantasia o una pungente satira ai convenzionalismi della società vittoriana. Troppo spesso ci si è dimenticati che Alice può essere tutte queste cose insieme, e molto di più.

Per chi lo volesse proprio sapere, comunque, diremo che sì, Charles Lutwidge Dodgson alias Lewis Carroll era un pedofilo. La sua passione per Alice Pleasance Liddell, condivisa dal tale John Ruskin e forse imputabile all'irresistibile fascino preraffaellita della fanciulla, non è di per sé una prova definitiva. Ma il fatto che vagasse per spiagge e stazioni ferroviarie con un borsone in pelle nera pieno di caramelle e regali, alla costante ricerca di bambine (e solo di quelle, avendo egli in odio i maschietti) da affascinare con un'eloquenza a lui normalmente estranea, per convincerle a posare nude, in atteggiamenti d'una sconvolgente sensualità, davanti all'obiettivo della sua macchina fotografica, ci fa giustamente tornare alla memoria episodi di cronaca a noi contemporanei. Tuttavia, proprio uno sguardo troppo ancorato alla contemporaneità e alla cronaca nera rischia di sviarci da una piena comprensione di questa 'eccentricità'. E infatti l'era vittoriana nel suo complesso che intrattiene con il bambino, e con la bambina in particolar modo, rapporti ambigui e sostanzialmente insani. Nell'anno di pubblicazione di Alice migliaia di fanciulli inglesi sono costretti a lavorare in fabbrica per quindici ore al giorno, e si citano casi di bambini sfruttati per trentasei ore consecutive, con pause di riposo notturno di tre. Nell'austera Londra vittoriana si contano circa 120,000 prostitute, di cui una buona percentuale fra i dodici e i quattordici anni. Le bambine delle classi più abbienti si sposano spesso in età giovanissima (dai dodici anni in su) con uomini più vecchi di almeno dieci anni. I sistemi educativi, poi, rigidi e volti a creare nel più breve tempo possibile un piccolo adulto inquadrato ed efficiente, tollerano pochissimi spazi di naturalezza e creatività. La stessa balbuzie di Dodgson/Carroll fu probabilmente il risultato della 'guarigione' forzata dal 'difetto' del mancinismo cui dovette sottoporsi da piccolo.

In un simile contesto è ipotizzabile che lo scrittore liberi a livello letterario il fanciullo polimorfo e perverso che nessuno gli ha mai permesso di essere, inventando Lewis Carroll. Nella vita di tutti i giorni la passione di Charles Lutwidge Dodgson per le bambine è certamente sintomo di una nevrosi; ma considerare Dodgson indipendentemente da Carroll, l'uomo indipendentemente dallo scrittore, può essere utile al pettegolezzo, non alla lettura. Proprio il pettegolezzo ha spesso associato il binomio Carroll/Dodgson a quello Jeckyll/Hyde; il collegamento può essere suggestivo e utile, ma solo se consideriamo i binomi come rappresentazioni astratte delle componenti di un'unità del tutto inscindibile.

I paradossi dell'età vittoriana non sono tali che sulla carta: il capitalismo industriale necessita dell'ipocrisia e del sopruso per inaugurare la sua epoca di sorti magnifiche e progressive, il dottor Jeckyll e Mister Hyde non sono che due componenti della stessa anima, unite in un rapporto simbiotico.

Allo stesso modo Alice è il prodotto dell'inscindibile simbiosi fra Charles Lutwidge Dodgson e Lewis Carroll. Distinguere quale dei due fosse il maniaco e quale il genio, quale la vittima e quale il carnefice, se anche fosse possibile, ci sembrerebbe inutile e superfluo. Ciò che veramente ci interessa è constatare che entrambi furono innamorati di Alice. Se ci troviamo d'accordo con

queste conclusioni, non potremo che riconsiderare certi facili moralismi sulla doppia identità e gli indicibili vizi dello scrittore vittoriano, nonché meglio apprezzare la fantastica libertà della sua eroina.

Le ali di Alice Nel Paese delle Meraviglie non valgono le leggi della fisica: si cade chilometri (forse, ma non si è sicuri) senza farsi niente. Come in un altro luogo fantastico della narrativa inglese, Flatlandia, spazio e tempo sono relativi da molto prima delle scoperte di Einstein. Non valgono le leggi del buon senso e dell'educazione: una fanciulla britannica di buona famiglia può permettersi di tracannare intrugli quantomeno sospetti, o di sbocconcellare funghi magici seguendo i consigli di un bruco drogato. Può infrangere tutte le regole del bon ton parlando della sua gatta a un topo, o mandando al diavolo duchesse e regine. Può dimenticarsi tutte le noiose poesie edificanti propinatele da pseudopoeti bacchettoni, stravolgendole in strofe di una crudeltà e di un'anarchia inaudite. Nel Paese delle Meraviglie non ci sono regole predefinite, è una bambina disambientata a creare il mondo e le entità che lo popolano. Alice non va dove la porta il cuore: va dove la porta il caos.

L'amoralità e l'anarchia del racconto, che indubbiamente l'autore sfruttò per ottenere la complicità della piccola Alice Liddell, decretarono nel 1865 l'immediato successo di un'opera destinata a diventare un classico. Finalmente qualcuno si rivolgeva ai bambini senza pretendere di imporre loro regole o imperativi. Il narratore non era più un despota inviato dal mondo degli adulti a terrorizzare o annoiare, ma un vero e proprio complice dei suoi piccoli lettori. Grazie anche a questa intuizione (più o meno casuale), Alice nel Paese delle Meraviglie ha suggestionato a più riprese l'immaginario collettivo anglosassone. Il semiologo americano Charles Sanders Peirce dovette ammirare l'espressività extratestuale della poesia del topo (il Codazzo di Miserie) e James Joyce riconobbe Carroll come suo precursore nell'invenzione della parola-valigia. L'umorismo paradossale e irresponsabile del racconto non ha mancato di sedurre esponenti eminentemente sacrileghi del pensiero novecentesco come Antonin Artaud e Aldo Busi. Rintracciamo suggestioni carrolliane anche nei campi più effervescenti e innovativi della cultura popolare del nostro secolo; si pensi alla rivoluzione contro le parole attuata dai fratelli Marx, ma anche al più recente film Alice nella città di Wim Wenders. Negli anni '60 e '70 il racconto ha contribuito alla nascita della cultura psichedelica come e più delle scoperte di Albert Hoffmann (inventore dell'LSD); basti ricordare alcuni capolavori del nonsense beatlesiano, dal film Yellow Submarine alla canzone Lucy in the Sky with Diamonds (che incomincia, guardacaso, con le parole immagina di essere in barca sul fiume...).

La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è: come ha fatto il devoto e reazionario Reverendo Charles Lutwidge Dodgson a lanciare una tale bomba a orologeria contro il moralismo e il conformismo di una cultura, quella borghese, in cui era perfettamente inserito?

Il segreto, suggeriamo qui, potrebbe stare tutto nelle ali di Alice. Sono ali che non vengono citate nel racconto, ma di cui si avverte la presenza. Carroll le donò, forse involontariamente, alla sua piccola protagonista permettendole di volare da sola. Innamorato di Alice Pleasance Liddell, infatti, liberò se stesso da velleità didattiche e l'Alice letteraria dai freni spesso imposti all'infanzia. Così questa bimba nata dal sogno è giunta a noi viva, reale, incurante dei vincoli che imprigionavano il suo creatore. Alice nel Paese delle Meraviglie è entusiasmante perché possiamo anche permetterci di leggerlo infischiandocene di Lewis Carroll e di tutti i suoi problemi, come quando ascoltiamo la voce fantasma di John Lennon che, incurante della scomparsa del baronetto in acido, torna ancora una volta a cantare: Free as a Bird, appunto.

Ultima riflessione

Un'ultima riflessione, su moralità, amoralità, immoralità nei racconti per bambini. Sappiamo tutti quali sono gli ingredienti che, nella società contemporanea, fanno il successo dei prodotti narrativi per giovanissimi. Avventura, sesso e violenza spinti e banalizzati all'estremo incollano senza scampo i nostri figli alla serie televisiva, al fumetto, al film di turno. Una mancanza di cultura, o forse di memoria culturale, ci fa spesso dimenticare che gli stessi ingredienti hanno incollato a libri e racconti generazioni di giovani fin dagli albori della storia. Puntando l'attenzione sui prodotti narrativi per bambini, non possiamo fare a meno di notare come sesso e violenza siano le basi, più o meno celate, delle favole della nostra infanzia. Chi può negare la pioggia di sangue che lorda le pagine di Cappuccetto Rosso? Chi disconosce la simbologia fallica del naso di Pinocchio? Se controbattiamo che in Cappuccetto Rosso la violenza è confinata nella sfera della fantasia dovremmo riconoscere di aver cresciuto figli così mentecatti da credere prodotti della cronaca le Tartarughe Ninjia o i Power Rangers.

Se invece confidiamo nel mascheramento del simbolo sessuale da parte di Collodi, dovremmo interrogarci sugli effetti deleteri di un messaggio subliminale del tipo: se dici le bugie, il naso ti diventa lungo.

Spesso ci si sofferma troppo sulla superficie dei prodotti narrativi per bambini, enumerando morti ammazzati, parolacce e seni nudi contenuti in ognuno di essi, senza curarsi minimamente delle loro strutture assiologiche profonde. Anche in Alice nel Paese delle Meraviglie è possibile individuare simboli sessuali ed episodi di violenza inaudita: da una parte il collo/fallo della bambina che si allunga a dismisura o la porticina/vagina nascosta dietro la tenda; dall'altra una Regina sanguinaria che fa decapitare chiunque le capiti a tiro, o il crudele 'richiamo all'ordine' dei porcellini d'India.

Questo tipo di violenza non differisce da quella dei Power Rangers perché meno 'reale', ma piuttosto perché è la concretizzazione di uno schema assiologico profondo in cui la significatività, l'efficacia e l'etica stessa della convenzione-violenza sono radicalmente messe in ridicolo. È a questo livello profondo che è forse possibile fare dei distinguo: le liste di morti ammazzati o dei nudi integrali risolvono ben poco.

Informazioni aggiuntive

Anno ediz

1996

Autore

Editore

Legatura

Copertina flessibile

Pagine

125

Lewis Carroll, al secolo Charles Lutwidge Dodgson (Cheshire 1832, Surrey 1898), era nato per fare il matematico. La maggior parte dei suoi anni, infatti, la trascorse nel Christ Church College di Oxford, come lettore di quella materia, alla quale dedicò anche alcuni trattati. Ma la sua vera passione erano anche le bambine, che immortalò in numerose fotografie divenute celebri. Per una di esse, Alice Liddell, scrisse Alice nel paese delle meraviglie (1865), che diventò il più diffuso testo di letteratura infantile nei paesi di lingua inglese. Ma se c'è un libro che ha affascinato più gli adulti che i bambini, è proprio Alice. Il gioco verbale che destruttura linguaggio e realtà, l'uso dello sguardo infantile che, nel suo candore, mette a nudo le assurdità del mondo adulto, sono gli ingredienti che hanno consacrato Alice tra i capolavori della letteratura di tutti i tempi.
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