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Dal proprio lettore, come dal proprio critico, Elsa Morante si aspetta un rapporto diretto, frontale. Desidera essere riconosciuta subito in viso, da sguardi che non si attardino a spiarla attraverso lenti secondarie. Ammette certe mediazioni, è vero, anzi le sottintende, le implica, scherzando, come sanno fare gli artisti, con le allusioni e i misteri, con simboli e enigmi, e con grazie e civetterie. Tutto le riesce facile, da questa parte, le viene spontaneo come a una naturale virtuosa. La musica, i movimenti della Morante sono da flauto magico. Ma tanto vale dirlo subito: dietro trucchi e giochi, questa scrittrice nasconde lineamenti assoluti e eccezionali, e non solamente nel senso per cui i casi dei poeti sono sempre eccezionali.
Fuori da ogni tracciato, estranea a qualsiasi tradizione consacrata nel Novecento, è intanto la sua figura tecnica: esotica e familiare, naturale e iperbolica, la scrittura della Morante non lascia intravedere modelli. Sfugge alla famiglia dei "prosatori d'arte" italiani come a qualsiasi altra parentela di ceppo illustre. Non paga debiti, la Morante, al neorealismo coevo. Sarebbe impossibile inquadrarla nei soliti disegni, nelle organizzazioni manualistiche della "letteratura". È nata da se stessa, Elsa Morante, e tutto fa credere che ai suoi due romanzi, Menzogna e sortilegio (1948) e L'isola di Arturo (Premio Strega 1957) si sia festeggiata, a un convito.
Elsa Morante
L'isola di Arturo
Einaudi
Anno ediz | 1969 |
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Autore | |
Editore | |
Legatura | Copertina rigida |
Pagine | 435 |