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Perché i superstiziosi evitano il venerdì e i numeri 13 e 17?  Il venerdì è considerato un giorno di sfortuna in alcune culture, principalmente per le sue connotazioni di penitenza nella tradizione cattolica e il ricordo della passione e morte di Gesù. Il numero 13 ha una reputazione ambivalente, a volte considerato sfortunato (come nell'essere 13 a tavola) e altre volte fortunato (come nei ciondoli). Le sue origini negative risalgono all'antichità e sono associate a eventi come la morte di Filippo di Macedonia e l'ultima Cena di Gesù, oltre al suo ruolo nella cabala e nell'Apocalisse.

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Perché i superstiziosi evitano il venerdì e i numeri 13 e 17

Il venerdì è per la Chiesa cattolica un giorno di penitenza. Tradizionalmente, era prescritto ai fedeli di astenersi dalle carni, una prescrizione che non è più obbligatoria dal 1966, fatta eccezione per i venerdì di Quaresima. Inoltre, il Venerdì Santo è il primo giorno del Triduo Pasquale, durante il quale si ricorda la passione e la morte di Gesù, ed è perciò un giorno di penitenza per la Chiesa e di astinenza e digiuno per i fedeli. È probabile che questi valori di mortificazione connessi con il venerdì abbiano determinato la credenza che considera questo giorno di malaugurio.

Nei confronti del numero 13, il pregiudizio popolare non ha un atteggiamento univoco. Infatti, qualche volta viene ritenuto nefasto (si pensa, per esempio, che porti male essere 13 a tavola), altre volte fortunato (ciondoli d'oro con inciso o intagliato il numero 13 vengono considerati portafortuna). La sua fama di cattivo augurio risale all'antichità: Filippo di Macedonia, che aveva aggiunto la sua statua a quella delle dodici più importanti divinità, morì poco dopo assassinato; nell'ultima Cena di Gesù con gli apostoli i convitati erano tredici; nella cabala il 13 è il numero più infausto perché, essendo il giorno della Crocifissione di Cristo, simboleggia la morte; il capitolo XIII dell'Apocalisse è quello dell'Anticristo e della Bestia.

SPECCHIO-LA STAMPA
Perché?
VOLUME VI PERCHÉ SI FA
A cura di Guido Furbesco e Giordano Stabile

 

 

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poche

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