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Quando nel 1931 Ilario Rossi riceve il Premio Internazionale Curlandese di Decorazione all'Accademia di Bologna, è appena ventenne. Aveva avuto come docente in quella stessa Accademia Giorgio Morandi, che teneva la cattedra di incisione da un paio d'anni, e come ricorda Rossi, non era molto prodigo di informazioni sull'arte contemporanea. "Dava un po' di credito a Cézanne ed a Seurat e, tra gli antichi, a Piero della Francesca e a Masaccio e alle incisioni di Rembrandt."
Nomi certo ben comprensibili nel selettivo orizzonte dell'artista che già stava guadagnandosi un ruolo di preminenza a Bologna, e che nel volgere di pochi anni Roberto Longhi avrebbe consacrato in una memorabile prolusione al corso che inaugurava la sua docenza all'ateneo cittadino, come "uno dei migliori pittori viventi d'Italia", quasi un "nuovo incamminato". Era già il 'pittore delle bottiglie', una qualifica non proprio esaltante, al punto da suggerire a Rossi, con altri scanzonati compagni d'Accademia in occasione della festa delle matricole del '31, un carro allegorico con una gigantesca natura morta, immortalato in una divertente foto.
Certo, nel clima artistico di Bologna non si era del tutto dispersa la recente eredità trasmessa dal passaggio fra Otto e Novecento. "Il nostro secolo è nato a Bologna", ricordava Romeo Forni, "con esuberanza di strepiti e di musiche: quello che l'aveva preceduto, il XIX, se n'era andato, invece, zitto zitto, tra le strade deserte, male illuminate e coperte di ghiaccio."
Longhi, nella citata prolusione, aveva infatti liquidato sbrigativamente l'Ottocento, molti anni prima dell'impietosa "buonanotte" data al "signor Fattori", con una condanna quasi indiscriminata. "Taccio dell'ultimo secolo. Ma una gratitudine, per emozioni, sia pure tenui, ricevute, serbo tuttavia a quei modesti artieri che al solicello dell'800, nella Bologna papale, andavano dilatando, su per le chiese e i palazzi, gli ultimi inganni cordiali, le ultime quadrature. Non mi vergogno a dire che, più d'una volta mi sono smemorato volentieri davanti a una finzione chiaretta e annacquata del Guardassoni, del Samoggia, del Mastellari. Li, e non altrove, mi par che brilli sincero e modesto l'ultimo focherello carraccesco in pieno ottocento."
"Smemorato", scriveva non a caso Longhi per tre artisti non dei più celebrati, stendendo un velo non proprio pietoso su tutti gli altri. Forni scriverà con maggiore benevolenza, in un intento di ricostruzione del primo '900 decisamente più aperta, e sia pure con comprensibile spirito campanilistico, di una "Bologna sonnolenta" ancora negli anni Venti, nonostante presenze certo non trascurabili come Alfredo Protti, Carlo Corsi, Garzia Fioresi, Guglielmo Pizzirani, Lea Colliva, Giovanni Romagnoli, il critico-pittore Corrado Corazza, per dire di alcuni. E ricordando il quasi mitico, per Bologna, Caffè San Pietro, luogo di incontro già da prima della Grande Guerra, di letterati e artisti. Vi si ritrovavano Filippo de Pisis, il 'marchesino' con velleità di critico ancor prima che di pittore, Dino Campana, Giuseppe Raimondi, e Riccardo Bacchelli che leggeva agli amici passi del romanzo 'Il mulino del Po', come ancora ricorda Forni, "scritti a matita sui fogli di carta gialla da macellaio". E ancora Ferruccio Giacomelli, con gli scultori Ercole Drei, Cleto Tomba, Venanzio Baccilieri, e le presenze più.
Ilario Rossi
Catalogo generale delle opere pittoriche
A cura di Claudio Spadoni
Volume I
Archivio Ilario Rossi
Anno ediz | 2020 |
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Autore | |
Editore | |
Legatura | Copertina rigida con sovracoperta |
Pagine | 415 |