Un manoscritto latino del XIV secolo che riaffiora dall'oblio grazie a una ottocentesca traduzione francese, sette delitti in sette giorni consumati nel chiuso della biblioteca di un'abbazia, un ex accusatore dell'Inquisizione che indaga strenuamente su quei delitti, fino a scoprire la verità. Nessuno nel 1980 avrebbe scommesso un centesimo sull'interesse che simili ingredienti romanzeschi (già visti, già sentiti, già logorati dalla letteratura di "genere") avrebbero potuto destare. E invece Il nome della rosa ottenne un successo senza prece- denti, un plauso planetario che modificò profondamente i criteri produttivi dell'editoria, non solo italiana.
Ironia, certo, ed erudizione, e perfetta am- bientazione storica, e grande abilità costruttiva: ma la chiave di quell'accoglienza del tutto inaspettata non risiede tanto nei singoli elementi, quanto nel loro miracoloso dosag- gio, nell'equilibrio rischioso eppure fermissimo secondo cui immancabilmente si dispongono in qualsiasi momento della vicenda narrata. Sotto l'apparenza del giallo in costume, o del neogotico, o del romanzo storico che dir si voglia, si nasconde probabilmente il primo e più importante romanzo italiano dell'era postmoderna, un classico contemporaneo che non smette, e forse non smetterà mai, di coinvolgere e di stupire.